Solennità dell’Ascensione del Signore
Gesù “vincitore del peccato e della morte ci ha preceduto nella dimora eterna, per darci la serena speranza che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi sue membra, uniti nella stessa gloria”: è quello che canta oggi il primo prefazio dell’Ascensione con tanta solennità, ma che dobbiamo tener presente in ogni momento della nostra vita.
Nell’umanità di Gesù presso il Padre siamo già in qualche modo presenti anche noi, proprio perché Egli è il Capo del corpo che noi siamo. Non siamo lasciati alla nostra povertà, dice ancora il prefazio, adesso ci è donata la grazia di Cristo che attende di maturare nella sua stessa gloria. Da lui che è il Mediatore siamo già legati con Dio.
Dobbiamo attendere con fiducia e operosità. Bisogna vivere nel presente, nel quale noi abbiamo un preciso compito da svolgere: lavorare per l’avvento del regno di Dio che domani si manifesterà. Non si può dunque restare inoperosi con lo sguardo e la mente persi nelle nuvole.
Terminata la sua missione, quelli che lo hanno accolto cominciano il loro cammino.
Con il Vangelo, come sempre, Matteo si rivolge a noi lettori perché possiamo fare l’esperienza dei primi discepoli. Dobbiamo recarci nella Galilea dove Egli ci attende; sul monte che Gesù stesso ci indica. È il monte dell’altare del Signore. Qui lo vediamo, lo adoriamo.
Chi si reca sul monte conosce il Figlio e gli è conferito il suo stesso potere. È quello di farsi fratello di tutti perché ogni uomo sia immerso nell’unico amore del Padre e del Figlio, che abilita a fare quanto Gesù ha ordinato. In questo modo lui è il Dio-con-noi, per condurre il mondo al suo compimento e perché ciascuno compia ciò che Lui ha compiuto.
Noi come Chiesa abbiamo la stessa “vocazione” del Figlio che si realizza nella missione verso i fratelli e ci accompagna una certezza: “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.