XII Domenica del tempo ordinario

Da sempre, il fedele annuncio della parola di Dio è una missione pericolosa. Infatti, il profeta deve opporsi, in nome del Signore, ad un mondo che si fonda su valori che sono estranei alla legge di Dio o addirittura vi si oppongono. 

Il profeta, quindi, si trova esposto all’avversione e all’ostilità di molti. Ma la sua missione diventa più dolorosa quando si rivolge alla sua comunità e provoca la stessa avversione. Per sfuggire allo sconcerto che lo minaccia egli ha una sola via d’uscita: affidarsi completamente a Dio. 

Anche i discepoli, ai quali Gesù ha affidato il suo Vangelo perché lo annuncino e lo testimonino, sono esposti all’avversione e all’ostilità. 

Ma questo è “normale”. Infatti si può ancora parlare di vangelo se esso non disturba nessuno? Se esso non ci disturba? Se esso non mi disturba?! 

Anche se è la stessa vita in pericolo per il Vangelo, ecco che Gesù in modo fermo e amorevole allo stesso tempo, ripete: “Non abbiate paura… Non abbiate paura… Non abbiate paura”. 

Se i discepoli riescono a fuggire davanti al pericolo, fuggono ma solo per portare l’annuncio ad altri; se non riescono a fuggire e sono trascinati davanti a tribunali, è lì che con l’aiuto dello Spirito del Padre, devono dare la loro bella testimonianza.

Questa è l’unica vera preoccupazione dell’inviato: compiere la missione senza lasciarsi cogliere dalla paura. 

Chi mantiene la sua relazione con Dio, cioè si mantiene in grazia di Dio, potrà anche essere materialmente ucciso ma nessuno gli toglierà la vita, cioè nessuno spezzerà la sua relazione con Dio. Un Dio che è Padre per coloro che egli stesso ha inviato nella sua messe. E il Padre è colui che si preoccupa delle sue creature, anche dei “passeri che si vendono per un soldo”. Il Padre è vicino ai suoi inviati anche quando sono nei tribunali, aiutandoli mediante il suo Spirito. Gesù lo dice qui con una bellissima immagine: “anche i capelli del vostro capo sono tutti contati”.

La paura, dunque, non può appartenere al discepolo; e se c’è un senso di paura, non è certo quello di essere condannato (atteggiamento dello schiavo direbbe s. Agostino), ma quello di dispiacere al Padre, di perdere quella relazione vitale che si ha con Lui e che Lui vuole mantenere per l’eternità.