II Domenica di Avvento

La liturgia di questa seconda domenica d’avvento ci presenta il messaggero della buona novella che precede il Signore che viene e ci invita a recarci con lui nel deserto, luogo tradizionale della rivelazione divina. 

Ma prima di tutto questo, Marco dà solennemente inizio al suo vangelo. 

Poche parole soltanto costituiscono questo inizio, ma in esse è racchiuso già il potente segreto di questa opera, capace di svelare e rivelare allo stesso tempo. Marco dà avvio al suo vangelo con la parola “arché”, “inizio”. Questo termine evoca nel lettore un altro inizio, altrettanto solenne, della torah: “In principio”, “bėrēšît (Gen 1,1).

Ciò che comincia qui è in continuità con la storia di Israele. Ma il termine inizio richiama anche ad un nuovo percorso, una nuova esperienza, guardando avanti. Sia chiaro però che il Vangelo è di “Gesù Cristo Figlio di Dio” e quindi il lettore è invitato a fare propria la professione di fede della comunità credente e l’esperienza del Battista, descritta subito dopo, rappresenta un forte monito alla conversione, perché nessuno può iniziare la sequela di Gesù Cristo senza prevedere un radicale cambiamento di vita.

È il Battista che ci invita a prepararci all’Avvento del Signore con tutta la sua forza interiore. 

Il Precursore è una figura austera, essenziale, con una povertà estrema, dimora nel deserto. Tutto ciò lo rende l’uomo della veglia, consumato dalla Parola e proteso alla venuta del Messia promesso.

È lui che Dio manda come banditore della venuta del suo Figlio, voce che annuncia la conversione come condizione per sperimentare quello che Cristo viene a portare e cioè salvezza e gioia, quella vera!